Tavole Rotonde

Nuovi percorsi teatrali: il testo drammaturgico tra innovazione e tradizione

Bookcity Milano: 16 novembre 2019 – Teatro Franco Parenti – Milano
Ente Realizzatore: Pro(getto)scena
Coordinamento di Maria Gabriella Giovannelli

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Sono intervenuti: Marco Calindri (drammaturgo, regista); Edoardo Erba (scrittore, drammaturgo); Maria Gabriella Giovannelli (Presidente Pro(getto)scena, regista, scrittrice); Beatrice Laurora (scenografa, docente presso l’Accademia Teatro alla Scala di Milano, l’Accademia Vannucci di Perugia e collaboratrice presso l’Accademia di Brera di Milano). Maria Amelia Monti (attrice di teatro, cinema e televisione
La tavola rotonda si è articolata in un incontro/dibattito incentrato sul tema della scrittura creativa in ambito drammaturgico non come una semplicistica opposizione tra ricerca e tradizione ma come il frutto dell’evoluzione della costruzione dei testi in una prospettiva di drammaturgia multimediale e non solo. I relatori sono entrati nel merito del tema affrontato con esemplificazioni, permettendo ai presenti di comprendere nuove chiavi di lettura di testi di drammaturgia contemporanea. 
L’incontro ha dato spunto per parlare anche di Edoardo Erba romanziere, presentando il suo primo romanzo “Ami”, del quale sono stati letti alcuni brani da Maria Amelia Monti.

Press: https://www.sestonotizie.it/bookcity-milano-nuovi-percorsi-teatrali-la-drammaturgia-tra-innovazione-e-tradizione/

Dal romanzo e dalla pièce teatrale al film: limiti e potenzialità

Bookcity Milano – 18 novembre 2018 – Anteo Palazzo del Cinema
Ente Organizzatore: Pro(getto)scena
Coordinamento di Maria Gabriella Giovannelli

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La tavola rotonda si è articolata in un incontro/dibattito sul tema delle relazioni tra forme letterarie e forme audiovisive e in particolare sulle modalità di trasposizione di un romanzo o di un testo drammaturgico in sceneggiatura cinematografica. E’ stato inoltre analizzato il rapporto che si determina nel passaggio dalla scrittura letteraria o drammaturgica alla ripresa cinematografica con le difficoltà legate alla traduzione per immagini di ciò che gli autori hanno voluto esprimere attraverso la parola o fatto vivere attraverso le battute di un testo teatrale. I relatori, prendendo spunto da trasposizioni cinematografiche di romanzi e pièce teatrali sono entrati nel merito del tema affrontato con esemplificazioni pratiche che hanno permesso ai presenti di comprendere nuove chiavi di lettura di testi letterari. L’incontro è stata anche l’occasione per parlare del testo drammaturgico “Happy Family” di Alessandro Genovesi.

Teatro Donna: un’occasione d’incontro con storie contemporanee al femminile al di fuori del comune

Bookcity Milano – 18 novembre 2017 – Teatro Franco Parenti – Milano
Ente Organizzatore: Pro(getto)scena
Coordinamento di Maria Gabriella Giovannelli

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Teatro donna: uno sguardo sul mondo

Il Maggio dei Libri – 25 maggio 2017 – Unione Femminile Nazionale – Milano
Ente Promotori: Pro(getto)scena in collaborazione con l’Unione Femminile Nazionale di Milano 
Coordinamento di Maria Gabriella Giovannelli

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La tavola rotonda ha voluto stimolare l’attenzione sulla drammaturgia al femminile come espressione di un tipo di scrittura che rappresenti l’oggi, la contemporaneità con la sua complessità di relazioni e con l’esplorazione di un universo non ancora sufficientemente emerso attraverso tematiche non solo legate alla violenza contro le donne. Con il Teatro Donna si vuole scoprire quindi uno spaccato della società attraverso lo sguardo al femminile e la capacità delle donne di essere protagoniste e di condividere situazioni ed eventi all’interno di una realtà storica complessa.

Sono intervenute: Maria Gabriella Giovannelli (attrice teatrale, scrittrice, pubblicista iscritta all’Ordine dei giornalisti, Presidente di Pro(getto)scena; Maria Gabriella Olivi (drammaturga), Chiara Rossi (giornalista, scrittrice, drammaturga) Marilena Verri (attrice).
Durante l’incontro sono stati letti due monologhi, vincitori della “Sezione Teatro Donna” della XIII edizione del “Concorso Europeo per il Teatro e la Drammaturgia Tragos” indetto da Pro(getto)scena: “Il Kalashnicov e la colomba” di Chiara Rossi che affronta le tematiche legate alla ricerca di libertà in un Paese sconvolto dalla guerra e “Stasera vedrai” di Maria Gabriella Olivi, che affronta il tema sociale legato alla devastazione creata dal terremoto nell’Italia centrale.

Cultura: diversità e integrazione. Editori, autori, associazioni a confronto

Bookcity Milano – 19 novembre 2016 – presso Base Milano (MUDEC)
Ente Organizzatore: Pro(getto)scena
Coordinamento di Maria Gabriella Giovannelli

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La tavola rotonda è stata organizzata da Pro(getto)scena per BOOKCITY Milano 2016 presso il Museo Mudec (Base Milano), uno dei “punti cardinali” della quinta edizione della manifestazione milanese.
Sono intervenuti: Hafez Haidar (scrittore libanese, giornalista e traduttore, Accademico Emerito, Cav. della Repubblica Italiana, Direttore Generale Internazionale della “Camerata dei poeti di Firenze”, Candidato al Premio Nobel per la Pace nel 2017, docente presso l’Università degli Studi di Pavia), Enrico Redaelli Spreafico (cofondatore di Pro(getto)scena e del Premio per il Teatro e la Drammaturgia Tragos. Marketing consultant e organizzatore di eventi culturali.  Fondatore e socio onorario del Rotaract Milano Sforza); Roberto Sarra (scrittore, poeta, critico letterario, editore, Presidente dell’Associazione Pegasus –  Cattolica); Cecilia Perez (psicologa, psicoterapeuta, mediatrice linguistico culturale, socia della “Cooperativa multiculturale Crinali”); Valeria Bellobono (autrice, critica letteraria, ideatrice e curatrice del salotto letterario romano denominato “Il salotto degli Ultimi 18 Whisky” e membro del circolo culturale I.P.L.A.C  – Insieme per la Cultura); Rani Moorthy ( scrittrice originaria dello Sri Lanka, fondatrice del “Rasa Production” di Manchester e del “Teatro Migrante” al femminile). Coordinamento di Maria Gabriella Giovannelli (scrittrice, giornalista, Presidente Pro(getto)scena).
La tavola rotonda, partendo da un’analisi di alcuni testi, si è articolata in un incontro /dibattito sul tema dell’interculturalità dal momento che migrazione e integrazione rappresentano un punto fermo nella società attuale. 
Principale obiettivo dell’incontro è stato quello di sottolineare l’importanza della conoscenza di culture differenti anche attraverso la lettura di testi letterari e teatrali. Letteratura e teatro diventano punti di forza per la costruzione di un “dialogo” tra popoli e per la formazione di una società rispettosa dei vari usi, costumi, e tradizioni. In particolare il candidato al Premio Nobel per la pace Hafez Haidar ha affrontato il tema del processo di integrazione culturale con i paesi arabi; Roberto Sarra ha intervistato Valeria Bellobono  autrice di “Viaggi di donne senza rime” – Pegasus Edizioni, che ha parlato delle protagoniste del suo libro che vivono la tragedia dell’Afganistan; Cecilia Perez ha esposto l’esperienza della Cooperativa Crinali, che associa 28 donne di undici differenti Paesi (Algeria, Cile, Cina, Ecuador, Egitto, Filippine, Italia, Marocco, Perù, Polonia, Romania) ed ha affrontato il tema: “Donne e madri nella migrazione, l’accoglienza delle donne e delle loro famiglie nei servizi materno-infantili, quale supporto e accompagnamento nel rispetto delle diversità culturali”; Enrico Redaelli Spreafico ha riportato l’intervista fatta a Rani Moorthy autrice di “Una manciata di Henné” – Ledizioni Milano.

Da sinistra: Valeria Bellobono – Roberto Sarra – Maria Gabriella Giovannelli – Hafez Haidar

Da sinistra: Cecilia Perez – Maria Gabriella Giovannelli – Hafez Haidar

Narrazione e psicoanalisi: quando la letteratura cerca di penetrare nelle profondità della psiche

Bookcity Milano – 19 novembre 2016 – presso Base Milano (MUDEC)
Ente Organizzatore: Pro(getto)scena
Coordinamento di Maria Gabriella Giovannelli

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Sono intervenuti: Corinna Agustoni (attrice teatrale e cinematografica, componente della Compagnia del Teatro dell’Elfo di Milano); Loredana Bianchessi (attrice); Marco Calindri (drammaturgo, esperto nel settore dello spettacolo dal vivo); Roberto Carnevali (psicologo psicoterapeuta, psicoanalista, autore di numerosi saggi psicoanalitici e di testi di narrativa); Marina Giampietro (Docente a contratto presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e Docente di Psicologia della Personalità alla Facoltà di Psicologia dell’Università Cattolica sede di Brescia); Maria Gabriella Giovannelli (attrice teatrale, scrittrice, pubblicista iscritta all’Ordine dei giornalisti, Presidente di Pro(getto)scena); Salvatore Ladiana (teatroterapeuta, regista e attore, fondatore e Presidente dell’Associazione “TeatroInBolla”); Ylenia Proietto (attrice, speaker radiofonica). 

L’evento, la cui finalità era incentrata sul tema del rapporto tra letteratura e psicoanalisi e sull’analisi del passaggio dal testo narrativo al testo teatrale, si è articolato in due differenti momenti: in un incontro/dibattito e in un reading del testo teatrale: “Pallide solitudini” di Roberto Carnevali. 

Dal vivace dibattito è emerso che un testo di narrativa può essere in grado di penetrare nel profondo dell’animo umano come e più di molti saggi specificatamente dedicati all’argomento. La letteratura è una fonte inesauribile di pensieri che si collegano ad emozioni con immediatezza.

Durante il dibattito sono stati citati alcuni testi letterari: Panni Sporchi di Roberto Carnevali – Edizioni ARPANet 2011; Le luci nelle case degli altri di Chiara Gamberale – Edizioni Mondadori 2010; “Lo stano caso del cane ucciso a mezzanotte” di Mark Haddon – Edizioni Einaudi 2003; Tonio Kröger di Thomas Mann – Neue Deutsche Rundschau, 1903; La coscienza di Zeno” di Italo Svevo – Licinio Cappelli Editore 1923.

Nella seconda parte dell’incontro le attrici Corinna Agustoni, Loredana Bianchessi, Ylenia Proietto hanno letto alcuni brani tratti da: “Pallide solitudini” di Roberto Carnevali, testo teatrale tratto da un racconto autobiografico nel quale l’autore trasfonde se stesso come portatore di vissuti con i quali si trova ogni giorno a confrontarsi da fuori e da dentro di sé.

La responsabilità educativa della parola scritta

La parola non violenta: energia per la crescita al dominio di sé e al rispetto degli altri. 
La parola che trascina: conseguenze nascoste.

BOOKCITY Milano – 25 ottobre 2015 – Teatro Franco Parenti – Milano
Ente promotore e attuatore: Pro(getto)scena  
Coordinamento di Maria Gabriella Giovannelli

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Sono intervenuti: Roberto Carnevali (psicologo, psicoterapeuta, psicoanalista ASP -Associazione Studi Psicoanalitici – Direttore Centro Studi e Ricerche COIRAG  – Confederazione di organizzazioni italiane per la ricerca analitica sui gruppi); Fabiola De Clercq (fondatrice e Presidente dell’ABA – Associazione per lo studio e la ricerca sull’anoressia, la bulimia e i disordini alimentari – Direttore responsabile dell’ABA News, Consulente del Ministero delle Pari Opportunità, della Salute e delle Politiche Giovanili); Paco Simone (Direttore Società Editoriale ARPANet); Ilaria Bergonzoni (pedagogista ed educatrice); Ylenia Proietto (attrice, speaker radiofonica). 
La tavola rotonda, che ha visto la presenza di autori e editori, è stata un naturale proseguimento dell’incontro realizzato per il “Maggio dei libri” a Milano presso l’Unione Femminile Nazionale, dal titolo: “Crescendo nel rispetto altrui. La non violenza”. 
Durante la tavola rotonda è stato affrontato il tema del valore educativo della parola e sono state analizzate le potenzialità positive o negative che può avere sullo sviluppo armonico della personalità individuale, sulle capacità riflessive e decisionali e sui rapporti interpersonali. 

Durante l’incontro sono stati letti alcuni passi tratti dai seguenti libri:
 “Scegliere la dipendenza di Roberto Carnevali – Edizioni ARPANet; 
“L’immaginario e il diavolo” di Roberto Carnevali – Edizioni ARPANet;
 “Fame d’amore” di Fabiola De Clercq – Rizzoli; 
“Mancanza” di Maria Gabriella Giovannelli – Puntoacapo Edizioni.

Prima di dare voce ai libri e passare la parola ai relatori per un primo giro d’interventi, vorrei illustrare da dove è nata l’idea di questa tavola rotonda che rappresenta un secondo step di un progetto di più largo respiro e fare alcune considerazioni.

Per la formazione continua dei giornalisti, a marzo 2015, mi trovavo ad una tavola rotonda organizzata a Tortona, dal titolo “La violenza domestica. Strumenti culturali, psicologici e giuridico-operativi per prevenirla, combatterla, trattarla” che ha visto la partecipazione della sociologa Chiara Saraceno, dell’avvocato penalista, psicologo, psicoterapeuta Guglielmo Gullotta, dell’avvocato civilista, esperto in diritto di famiglia Antonina Scolaro; del vicecommissario Ufficio Minori della Questura di Torino Paola Fuggetta. Nell’ampia trattazione di questo argomento, è emerso, come uno degli obiettivi primari, la necessità di rivolgersi ai ragazzi, a partire dalle scuole primarie, per fare con loro un percorso di educazione alla non violenza e al rispetto dell’altro. 
Dopo questo incontro di Tortona, Pro(getto)scena ha organizzato per il “Maggio dei Libri 2015” un incontro-dibattito dal Titolo: “Crescere nel rispetto altrui: la non violenza” che si è tenuto a Milano presso l’Unione Femminile Nazionale. L’incontro era incentrato sul concetto della tolleranza, del rispetto altrui come mezzo per uno sviluppo armonico sia della personalità individuale, sia dei futuri sviluppi interpersonali, compresi quelli della vita di coppia. Durante il processo di crescita dei ragazzi spesso gli adulti non prendono in dovuta considerazione, “avvisaglie” che possono essere prodromi di comportamenti futuri non corretti. Un aspetto assolutamente sottovalutato nell’ambito delle relazioni tra coetanei è quello del facile “insulto”, spia a volte del maturare nei soggetti di possibili futuri tipi di violenza. 

“Venendo all’uso del linguaggio la parola scritta o orale può avere potenzialità positive o negative. La parola può “accogliere” la parola può diventare “ascolto”, la parola può diventare silenzio; la parola può diventare “incontro” attraverso il quale la persona si apre ad un dialogo che mira alla comprensione reciproca, creando una comunicazione positiva. La parola al contrario può essere coercitiva, può diventare una lama tagliente che ferisce nel profondo e può influenzare direttamente o indirettamente i nostri comportamenti. La parola può essere ingannatrice, sedurre…” (la 27 ora blog del Corriere della Sera).

La parola rientra nell’ambito della comunicazione, ma non è l’unico modo: si comunica anche attraverso l’espressione corporea, si può comunicare con il silenzio e l’ascolto.
Quali sono quindi le modalità di questo percorso di educazione al rispetto altrui e quindi alla non violenza?  Un discorso aperto e ampio che prevede un impegno congiunto delle famiglie d’origine dei ragazzi e degli educatori. Spesso la famiglia va sensibilizzata. 

La non violenza. Crescere nel rispetto altrui

Maggio dei libri: 28 maggio 2015 – Unione Femminile Nazionale
Enti promotori: Pro(getto)scena e Unione Femminile Nazionale
Coordinamento di Maria Gabriella Giovannelli

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Pro(getto)scena, in collaborazione con l’Unione Femminile Nazionale, ha aderito al “Maggio dei libri” con un incontro-dibattito incentrato da un lato sul concetto della tolleranza, della non violenza, dall’altro sul tema delle conseguenze determinate dalla violenza fisica e psicologica perpetrata in vari ambiti. 

Sono intervenuti: Ilaria Bergonzoni (pedagogista, educatrice, docente presso Istituti di Formazione Superiore) che ha parlato dell’uso del linguaggio nella relazione tra coetanei; Eleonora Cirant (giornalista, socia e documentarista presso l’Unione Femminile Nazionale di Milano) che si è soffermata sulla differenziazione tra ruoli femminili e ruoli maschili e sulla loro trasformazione nel tempo; Ombretta De Biase (scrittrice) che ha rievocato la figura di Olimpia De Gouges autrice della “Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina” in polemica con la “Dichiarazione dei diritti dell’uomo.
Ylenia Proietto (attrice, speaker radiofonica) e Marilena Verri (attrice) hanno letto brani tratti dalle opere consigliate per approfondire l’argomento.

Perché è necessario affrontare questa tematica? Siamo spesso avvolti da una spirale di violenza che si esplica in vari modi: i fatti di cronaca di ogni giorno ce ne danno conferma. Non si tratta solo della violenza perpetrata all’interno delle mura domestiche e che spesso sfocia nei femminicidi, ma anche di una violenza spesso gratuita, attuata da giovani e giovanissimi nei confronti di loro coetanei, che si esplica nel non rispetto dell’individuo e che va dalla violenza verbale a quella fisica, dalla violenza psicologica, al bullismo, alla violenza del branco. I ragazzi respirano quest’aria di sopraffazione e vivono male la loro età. 
La violenza è una forma di relazione radicata tanto nei modelli culturali, quanto nelle profondità psichiche, una relazione che si può modificare attraverso l’educazione. Emerge quindi l’urgenza di proporre un’educazione al rispetto dell’altro, un’educazione che deve partire già in età scolare con un lavoro congiunto delle famiglie con gli educatori dei propri figli. Diventa fondamentale far comprendere ai giovani che l’educazione al rispetto dell’altro e alla non violenza è alla base di uno sviluppo armonico della personalità individuale e dei futuri rapporti interpersonali.

Durante la tavola rotonda è stato consegnato ai presenti un elenco di opere letterarie che affrontano la tematica. 

“Il campo dei colchici” – Maria Gabriella Giovannelli – Joker Edizioni
“Io non ho paura” – Niccolo Ammaniti – Einaudi 
“Uomini che odiano amano le donne. Virilità, sesso e violenza: la parola ai maschi”Monica Lanfranco – (Supplemento al n. 1/2013 di Marea: trimestrale di attualità e riflessioni, storie e racconti, critica e informazione per dire lo stare al mondo delle donne) 
“Non lo faccio più: la violenza di genere raccontata da chi subisce e da chi la infligge” – Cristina Obber
“Schiave del potere: una mappa della tratta delle donne e delle bambine nel mondo” – Lydia Cacho – Fandango;
“L’avvocato delle donne: dodici storie di ordinaria violenza” – Tina Lagostena Bassi – A. Mondadori; 
“Malamore: esercizi di resistenza al dolore” – Concita De Gregorio – Mondadori;
“Se questi sono gli uomini – Riccardo Iacona – Chiarelettere;
“Le violentate” – Maria Adele Teodori – SugarCo;
“Il legame insospettabile tra amore e violenza” – Lea Melandri – Effigi;
“Deumanizzazione : come si legittima la violenza” – Chiara Volpato – GLF editori Laterza;
“Sole rosso” – Maria Gabriella Giovannelli – Puntoacapo Edizioni;
“La dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina” – Olimpia De Gouges.

Anna Freud. Un insaziabile desiderio di vacanze

Tavola rotonda inerente al tema del rapporto tra Sigmond Feud e la figlia Anna

4 dicembre 2014 – Teatro Fontana – Milano
Ente Organizzatore: Pro(getto)scena
Coordinamento di Marco Calindri

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Nell’ambito delle manifestazioni legate alla XII edizione del “Concorso Europeo per il Teatro e la Drammturgia Tagos” Pro(getto)scena ha organizzato una Tavola rotonda inerente al testo “Anna Freud. Un insaziabile desidero di vacanze” vincitore della X edizione di Tragos.

Sono intervenuti: Roberto Carnevali (psicologo, psicoterapeuta, psicoanalista ASP -Associazione Studi Psicoanalitici – direttore Centro Studi e Ricerche COIRAG – Confederazione di organizzazioni italiane per la ricerca analitica sui gruppi; Paolo Giovannelli (psichiatra, psicoterapeuta, direttore clinico Centro ESC – Internet Addiction Milano – docente all’Università degli Studi di Milano); Marta Vigorelli (psicologa, psicoterapeuta della SIPP – Società Italiana di Psicoterapia Psicoanalitica – docente alla Facoltà di Psicologia dell’Università Bicocca di Milano. Coordinamento di Marco Calindri.

Alla tavola rotonda è seguita la messa in scena del testo/lettura interpretativa del testo: “Anna Freud: un insaziabile desiderio di vacanze” con la partecipazione di Maria Gabriella Giovannelli nel ruolo di Anna Freud e di Marilena Verri, voce narrante. Regia di Maria Gabriella Giovannelli. Musiche di Vincenzo Di Lalla. 

Stay tuned

Stay tuned

Drammaturgia contemporanea: finestra sui contenuti e sui linguaggi dei giovani di oggi. Dalle problematiche e dalle potenzialità dello spettacolo dal vivo al testo scritto

BOOKCITY Milano – 13 novembre 2014 – Istituto Primo Levi – Bollate (MI)
Ente Organizzatore: Pro(getto)scena
Coordinamento di Maria Gabriella Giovannelli

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Sono intervenuti Relatori: Maria Gabriella Giovannelli (Presidente di Pro(getto)scena); Marco Calindri (libero professionista settore spettacolo). 
Pro(getto)scena in collaborazione con BOOKCITY Scuola 2014 ha realizzato un incontro con i giovani dell’Istituto “Primo Levi” di Bollate dal titolo: “Drammaturgia contemporanea: finestra sui contenuti e sui linguaggi dei giovani di oggi. Dalle problematiche e dalle potenzialità dello spettacolo dal vivo al testo scritto.” 
Obiettivo dell’incontro: avvicinare i giovani alle nuove produzioni, guidarli alla lettura di testi di drammaturgia contemporanea per fornire loro le linee guida per cimentarsi a loro volta nella realizzazione di testi autoprodotti sotto il coordinamento di docenti ed esperti.
Alla tavola rotonda è seguita una lettura interpretativa di un testo di drammaturgia contemporanea con successiva discussione, testo esemplificativo di come società, istanze dei giovani e teatro siano strettamente collegate e di come la drammaturgia possa contribuire attraverso un progetto interdisciplinare alla crescita dei giovani e alla scoperta delle loro potenzialità e capacità creative.

Registi, attori, drammaturghi a confronto: il lavoro di squadra nella messa in scena di un testo di drammaturgia contemporanea

Alexandria Scriptori Festival – 8 giugno 2014 – Palazzo Monferrato – Alessandria
Enti Promotori: Alexandria Scriptori Festival in collaborazione con Pro(getto)scena 
Coordinamento di Maria Gabriella Giovannelli

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Pro(getto)scena in collaborazione con il “Concorso Europeo per il Teatro e la Drammaturgia Tragos” e con “Alexandria Scriptori Festival” ha organizzato, presso Palazzo Monferrato di Alessandria, la tavola rotonda: “Registi, attori, drammaturghi a confronto: il lavoro di squadra nella messa in scena di un testo di drammaturgia contemporanea”.
Sono intervenuti: Marco Calindri (Libero professionista settore spettacolo); Alessia Baldi (organizzatrice del Festival); Massimo Brusasco (giornalista). Coordinamento di Maria Gabriella Giovannelli (Presidente Pro(getto)scena e Ideatrice e Presidente Premio Tragos).

Alle ore 21 è seguita la messa in scena di “Fotocopie” di Sara Beinat presso il Teatro San Francesco di Alessandria 
Il testo affronta in maniera sarcastica e “graffiante” il tema della disoccupazione giovanile e delle “strategie esasperate”, usate al giorno d’oggi, per le assunzioni nelle aziende. Usando il titolo stesso, il testo potrebbe essere definito una “fotocopia” della situazione nella quale si trovano molti giovani che escono da Università con lauree e master e si trovano a dover ripiegare, se sono fortunati, su lavori spesso demotivanti e per nulla consoni alla loro preparazione.
Il testo ha ottenuto la “Segnalazione Speciale Vincenzo Di Lalla” alla XI edizione del “Concorso Europeo per il Teatro e la Drammaturgia Tragos” con la seguente motivazione: “Per l’originalità del tema trattato, per l’efficacia dell’uso del linguaggio che rivela una buona tecnica di scrittura drammaturgica; per i dialoghi ben costruiti; per la capacità di mantenere nel lettore l’interesse nei confronti di ciò che sta accadendo fino all’epilogo”.

Sara Beinat nasce in Germania da una famiglia di gelatai emigranti e ritorna nell’originario Friuli all’età di tre anni. Impara a leggere a cinque anni, a sette inizia a scrivere racconti e da allora non ha mai smesso, ottenendo riconoscimenti a concorsi letterari nazionali (2007 Bere il territorio, 2010 La gaia mensa, 2011 Wine on the road). Si laurea al Dams dell’Università di Udine con una tesi su un laboratorio teatrale tenuto all’OPP di Trieste ai tempi di Basaglia. Dopo il diploma conseguito presso l’accademia teatrale Città di Trieste, lavora come attrice in produzioni teatrali, cortometraggi, videoclip, performance e come voice over. Al momento porta avanti due progetti paralleli, uno con l’attrice Marta Riservato e l’altro con la compagnia ConsorzioScenico. Il testo Fotocopie rappresenta la sua prima incursione nel mondo drammaturgico.

La messa in scena per la regia di Maria Gabriella Giovannelli ha visto la partecipazione di: Marcello Bestetti, Roberto Colombo, Alfredo Longo, Annagiulia Longo, Ylenia Proietto, Enrico Redaelli Spreafico. 

La sopravvivenza della drammaturgia: prospettive e limiti dell’editoria”

BookcityMilano – 23 novembre 2013 – Teatro Elfo Puccini – Milano
Ente Organizzatore: Pro(getto)scena
Coordinamento di Maria Gabriella Giovannelli

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Nell’ambito delle manifestazioni per BookcityMilano 2013, Pro(getto)scena ha organizzato la tavola rotonda: “La sopravvivenza della drammaturgia: prospettive e limiti dell’editoria” presso il Teatro Elfo Puccini di Milano.
La tavola rotonda ha visto la presenza di relatori appartenenti a differenti categorie che ruotano attorno alla nuova drammaturgia: editori, drammaturghi, premi di drammaturgia, per analizzare quali relazioni possano crearsi al fine di un’azione propulsiva nei confronti della rinascita graduale di un’editoria di settore, che aiuti il drammaturgo a non essere costretto a diventare in prima persona “sponsor” di se stesso o a pubblicare in altri Paesi europei. 

Sono intervenuti: Marco Calindri (autore e regista); Ombretta De Biase (autrice, regista, fondatrice del “Premio Fersen”); Mario Mattia Giorgetti (regista, direttore della rivista “Sipario”); Sandro Montalto (direttore editoriale di Joker Edizioni); Margaret Rose (autrice e docente di Anglistica presso l’Università Statale di Milano. 
Nell’ambito della tavola rotonda è emersa la necessità di una sempre più attenta introduzione, all’interno degli Istituti scolastici, accanto a laboratori teatrali, di momenti di lettura di testi di drammaturgia contemporanea per alimentare tra i giovani la discussione intorno alle nuove proposte e di sensibilizzare la critica dedicata perché aiuti i lettori e gli spettatori alla comprensione di linguaggi di non sempre facile fruizione.  

Suggestioni teatrali contemporanee

Palazzo Monferrato – Alessandria 24 maggio 2013
Enti organizzatori: Pro(getto)scena in collaborazione con Alexandria Scriptori Festival
Coordinamento di Alessia Baldi 

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Nell’ambito delle manifestazioni della IV edizione di “Alessandria Scriptori Festival” svoltosi il 24 e il 25 maggio 2013 a Palazzo Monferrato, ad Alessandria, Pro(getto)scena in collaborazione con il Festival ha realizzato la tavola rotonda “Suggestioni Teatrali contemporanee”.
Il Festival è stato organizzato dall’”Associazione Dietro l’Arte” in collaborazione con l’”Associazione Archicultura”, l’”Associazione Pendolari dell’Acquese” e “Lillibo Teatro”. Ha ottenuto il Patrocinio del Dipartimento per la Gioventù Regione Piemonte, Provincia di Alessandria, Città di Alessandria, della Fondazione per il Libro, la Musica e la Cultura – Salone Internazionale del Libro di Torino.

Sono intervenuti: Alessia Baldi (Organizzatrice del Festival); Maria Gabriella Giovannelli (Presidente di Pro(getto)scena, ideatrice del Concorso Europeo per il Teatro e la Drammaturgia Tragos); Nuccio lodato (critico cinematografico e teatrale, Docente di Storia e Critica del Cinema e Progetti per il Teatro e lo Spettacolo presso l’università di Pavia); Lorenzo Praticò (vincitore del Premio Contemporanea Laboratorio Teatrale 2013).
Come affermato dalla sua organizzatrice Alessia Baldi: “Il Festival intende essere un laboratorio di idee sulla contemporaneità alla ricerca di tracce orientative nel panorama dell’attuale, epocale crisi.” 

Nuove figure professionali nel settore dello spettacolo:
“Il mediatore per lo spettacolo”

Circolo della Stampa di Milano – 12 febbraio 2009
Ente Organizzatore: Pro(getto)scena 
Coordinamento di Maria Gabriella Giovannelli

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All’interno della Manifestazione di Premiazione della IX edizione del “Concorso Europeo per il Teatro e la Drammaturgia Tragos”, tenutasi il giorno 11 novembre 2009 presso il Salone Napoleonico del Circolo della Stampa di Milano – C.so Venezia 16, Pro(getto)scena ha organizzato la tavola rotonda  Nuove figure professionali nel settore dello spettacolo: il mediatore dello spettacolo” per presentare la creazione di una nuova figura professionale nel settore della produzione teatrale, della lirica e cinematografica, ideata da Maria Gabriella Giovannelli, Presidente di Pro(getto)scena all’interno del progetto: “La casa delle idee”.

 

Drammaturgia e critica

Circolo della Stampa – Milano 10 maggio 2007
Ente Organizzatore: Pro(getto)scena 
Coordinamento di Maria Gabriella Giovannelli

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Nell’ambito della Manifestazione di Premiazione della VII edizione del “Concorso Europeo per il Teatro e la Drammaturgia Tragos”, svoltasi il 10 maggio 2007 nel Salone Napoleonico del Circolo della Stampa di Milano, Pro(getto)scena ha organizzato la tavola rotonda dal titolo: Drammaturgia e critica”.
Sono intervenuti alla tavola rotonda: Pier Luigi Amietta (scrittore, Docente di Comunicazione all’Università di Pisa e Politecnica delle Marche); Marco Calindri (drammaturgo e regista); Liliana Feldmann (attrice); Maria Gabriella Giovannelli (Presidente Pro(getto)scena); Vito Molinari (regista); Ugo Ronfani (critico teatrale). 

Dagli intervenuti:

… Soltanto pochi (critici) oggi sopravvivono in questi spazi, in queste “lenzuolate” delle terze pagine dei giornali per parlare degli spettacoli. La critica è condizionata dalla pubblicità; al dibattito che prima avveniva fra alcune minoranze illuminate e dotte a fine spettacolo, oggi si antepone la promozione. Attraverso le roboanti conferenze stampa si fanno le promozioni dello spettacolo, si dice al pubblico che andrà a vedere la meraviglia del secolo. Seguono gli spot pubblicitari, alludo a quelle pagine che di giornalistico non hanno niente e che sono pubblicate per dare a suon di tamburo annunci sulle meraviglie, che meraviglie non sempre sono, della stagione teatrale in corso e via dicendo. In questa situazione la critica è ridotta ad avere a sua disposizione trenta/quaranta righe in cui non può che dire banalità o ripetere cose che ha ascoltato in conferenza stampa senza avere il diritto e il dovere di un’analisi documentata. Lo spirito critico si ottunde e allora che cosa può succedere? Può succedere che di questo passo lo specifico teatrale, quelle che sono le caratteristiche, l’insieme dei valori del teatro con la T maiuscola vanno scomparendo. … Faccio due esempi. Non tutti hanno apprezzato la versione del “Ventaglio” che nel tricentenario goldoniano ha dato il maestro Luca Ronconi. C’era materia per un dibattito: era gloria oppure Ronconi attraversa un periodo di passaggio a vuoto creativo? Un bel tema; tutti si son ben guardati dall’infrangere l’idolo che abbiamo laboriosamente costruito e, tra l’altro, alcuni, tra cui il sottoscritto hanno difeso questo “Ventaglio” come “visione noir” di Goldoni; altri, ripeto, si son ben guardati dal parlarne. Altro esempio rapido. Pirandello. Non so se vi siete resi conto che Pirandello sta scomparendo dalle scene italiane. Perché? Ma è semplice: Perché hanno fatto troppi Pirandello mediocri, fatti in maniera dozzinale. Stanno invece sorgendo, e anche qui non se ne parla, nuovi maestri come il caso di Arthur Schnitzer che secondo me è maggiore di Pirandello e di questo se ne parla? Signor no! Non si parla neppure di altri momenti che sarebbero il fermento di un dibattito culturale per decidere insieme quale teatro vogliamo. E allora non ci resta che, concludo, auspicare che si possa resistere, che in questa resistenza si debbano chiamare persone di spirito fino a ragionare in termini di analisi; bisogna prendere giovani virtuosi, di buona volontà per insegnare come ci si deve preparare ad uno spettacolo: leggendo il testo, cosa che non si fa più; confrontando l’allestimento con i precedenti allestimenti per vedere quali siano i passaggi estetici affrontati nel frattempo; discutere ancora di regia, di interpretazione, di tutte le componenti multimediali di uno spettacolo moderno e così via. Tutto questo è esercizio, è pazienza, è metodo, è volontà di affrontare seriamente i problemi della cultura, non è chiacchiera, non è pubblicità, non è spot; è vivere la professione. Allora io posso dire, per quanto mi riguarda con i miei ottant’anni, che volentieri mi metto a disposizione, se dovesse servire un contributo di metodo, per affrontare questi problemi perché tutto sommato, anche se ho scritto: “Il funerale di Pulcinella”, presumo che Pulcinella sia immortale, quindi ci credo ancora. Ora in questa situazione noi possiamo creare a Milano, per esempio, una “casa dell’autore” che manca, dove l’autore contemporaneo si confronta finalmente con il critico, con il pubblico. Ne parlavamo insieme con la signora Giovannelli, che mi parlava della “Casa delle idee”. Riaprire i dibattiti, come si faceva ai tempi di Brecht, ai tempi di “Galileo” al Piccolo; discutere le cose, dibatterle, decidere che cos’è questo Goldoni di Ronconi per esempio e in questa sede avviare un utile scambio di opinioni che innalzi il livello culturale. Io sono con le mie scarse energie a disposizione.  

Stabilito che la televisione ha concorso abbastanza a rendere difficile la vita del teatro, non vorrei esserne io colpevole dato che ho cominciato a farla proprio dagli inizi, d’altra parte Marcello Marchesi, umorista, diceva: “quando sono nato io, è morta la “Belle Epoque” ma non era colpa mia”. Non è colpa mia se ho incominciato a fare la televisione. …  Cercherò di dire poche cose andando giù un pochettino piatto e piuttosto deciso. Vorrei parlare della critica e siccome vorrei parlarne male, vorrei escludere intanto i critici presenti non perché sono presenti, ma perché appartengono ad una generazione di critici giusti, onesti che sanno fare il loro mestiere. … Incominciamo col dire che io vorrei evitare i critici che fanno le critiche incomprensibili; ogni tanto leggo delle critiche e non capisco quello che hanno detto, non capisco che spettacolo hanno visto, se ho visto lo stesso spettacolo, mi rendo conto che io ho visto “un altro” spettacolo. Vorrei parlar male delle critiche fumose, che sono quelle dei critici ai quali lo spettacolo non è piaciuto, ma non ne possono parlare male. … Vorrei parlare delle critiche deviate, i critici senza pudore, mi riferisco ad un lavoro fatto alcuni anni fa su Campanile, era orrendo … Bene. E’ uscita una critica meravigliosa, inneggiante, una critica per cui credo sembrasse il più bello spettacolo della stagione. … Certo per fortuna la critica è morta. I critici no. Ma la critica è morta: non serve più. Primo: quando qualche critico riesce a venire a teatro, scrive un pezzo che non viene pubblicato perché è in coda ai pezzi precedenti, che non gli hanno pubblicato. Quindi a me è capitato di avere pubblicata una critica l’ultimo giorno di un mio spettacolo, ma va già bene perché siamo arrivati al massimo quando me l’hanno pubblicata tre giorni dopo che era finito lo spettacolo. Allora è chiaro che non serve più a nulla. Non solo, devono dire tutto in trenta righe: non è possibile. Carlo Maria Pensa mi ha telefonato un giorno e mi ha detto: “Vito non te la faccio la critica perché non riesco a fare stare in trenta righe il concetto che vorrei dire. E’ meglio che non te la faccia”. Aveva ragione lui. E il rapporto critica-pubblico? L’anno scorso sono andato a vedere uno spettacolo al Manzoni, a Milano; nella fila davanti a me c’erano spettatori i quali, in un cicaleccio tremendo prima di incominciare lo spettacolo, erano abbonati fissi. S’incominciano a spegnere le luci, mezza sala, le luci si spengono e davanti a me uno si rivolge alla persona vicina e chiede: “Cos’è che danno stasera?” Questi sono gli abbonati, non tutti per fortuna ma una gran parte. … 

L’anno scorso stavo per fare questo spettacolo che si chiama “Eppure sopravvive”, è uno spettacolo di Dario G. Martini, giornalista e critico teatrale di Genova. E’ stato scritto nel ’75. E’ un testo che sembra ripreso dal “Funerale di Pulcinella” perché parla dei mali del teatro. Dal ’75 ad oggi non è cambiato nulla, è solo peggiorato tutto. Sono tre atti. Nel primo atto un critico teatrale è con la moglie a teatro; la moglie lo sveglia perché è finito il primo atto e gli racconta più o meno quello che ha visto: si è aperto il sipario, è uscito un attore molto bello il quale ha detto una battuta e poi si è chiuso il sipario. Il critico riesce a inventarsi una critica meravigliosa che subito dopo distrugge non appena vede che l’autore sta parlando con un critico suo nemico. Nel secondo atto un regista fa recitare ad un’attrice per quaranta volte la battuta: “no” perché vuole una certa intonazione che l’attrice non riesce assolutamente a fare. Nel terzo atto un’autrice porta un copione a un Direttore di teatro e avviene un incontro che finisce quasi in sadomaso; il direttore di teatro si dà un sacco di arie per poi finire chiedendo scusa quando si rende conto che l’attrice è la figlia di un onorevole…  Allora questi scenari del teatro dopo trent’anni sono gli stessi. … 

Io per riconciliarmi con la critica vado a prendermi i libri delle critiche di Renato Simoni che incominciavano spiegando la commedia e poi entravano nel merito, attore per attore. Certo erano delle paginone, c’era lo spazio. Quello che auspico è una critica cattiva, che dica male dello spettacolo e mi spieghi il perché è sbagliato, che mi dica perché e come avrebbe dovuto essere. Io auspico che gli spettatori si alzino indignati e fischino finalmente e non applaudano inutilmente tutto. Non serve a niente. 

… questo concorso, (“Premio per il Teatro e la Drammaturgia Tragos”) Maria Gabriella Giovannelli ha voluto intitolarlo ad una persona che era un grande attore: Ernesto Calindri. Io ho passato con lui gli ultimi suoi 10 anni e ho capito forse come si può essere leggeri e semplici nel recitare. Il più delle volte, mi è stato detto che io non recitavo ma parlavo e questo è il mio modo di essere. Allora visto che parliamo di Ernesto, non posso che presentarvi uno dei figli che aveva scritto per noi una commedia. Un giorno Ernesto mi disse: “Senti i miei figli hanno scritto questa commedia, tu sai che io non voglio presentare una commedia che non sia veramente una commedia e che non dia per lo meno delle sensazioni al pubblico che viene. Questa commedia è stata scritta dai miei figli, sono chiaramente incatenato in un certo senso, però fammi un favore, leggiamola assieme, tu mi dici cosa ne pensi, poi ti dico cosa ne penso io e vediamo se le due cose possono essere messe assieme.  Così è stato, la commedia è andata in scena, ha avuto un discreto successo e allora vi presento Marco Calindri. 

… E’ vero che lo spettacolo ha incassato, ma è anche stato stroncato disperatamente dalla critica. Quindi diciamo le cose come stanno. … volevo dire soltanto due cose legandomi al discorso della critica. Intanto durante il dibattito ho sentito dire che si fa molta promozione ad uno spettacolo prima che questo vada in scena. Dietro ogni spettacolo, nella migliore delle ipotesi, c’è un impresario o più impresari che investono quattrini su quello spettacolo, bello o brutto che sia, con registi brillanti o impreparati, qualunque cosa sia. E’ quindi del tutto legittimo che, investendo i propri soldi, l’impresario cerchi anche attraverso la promozione di raccogliere quanti più spettatori può. Perché dico questo? Perché lo spettacolo in una città come Milano, nella migliore delle ipotesi, fa quattro settimane di recite; nella peggiore: due settimane. Siamo a Milano: un milione e seicentomila abitanti. Cosa significa questo? Significa che ogni sera durante la quale lo spettacolo non riempie il teatro, l’impresario perde soldi che non riscuoterà mai più. …  Ma l’impresario tutte le sere deve pagare il regista, probabilmente deve ancora pagare le scene e via di seguito. … E’ vero che di spettacoli brutti ce ne sono a iosa, però io credo che vada riconosciuto un minimo di rispetto per chi investe dei quattrini in questo settore e cerca di farlo nel miglior modo possibile.  … L’altro aspetto importante è che la critica da quando sono cosciente di essere al mondo ha sempre avuto un po’ una “sopravalutazione”. Io ricordo mio padre che la sera della prima andava fuori a cena dopo lo spettacolo e tirava mattina per andare a comperare la copia del Corriere della Sera o del Giorno o degli altri quotidiani di Milano. Perché? Non per la curiosità di sapere semplicemente se il loro lavoro fosse stato apprezzato … ma perché la critica poteva determinare positivamente o negativamente la sua “riuscita” e quindi un incasso di un certo tipo oppure no.  Questo, secondo me, è una sopravvalutazione nei confronti della critica, la critica non deve avere questo potere… Per allacciarmi al discorso di Liliana Feldmann, la commedia che abbiamo fatto anni fa ha avuto critiche che la stroncavano, forse i critici avevano anche ragione, non lo so, però sta di fatto che gli incassi sono cresciuti di giorno in giorno e il teatro era sempre “esaurito”. Ci sarà un motivo per questa disparità: probabilmente non aveva del tutto ragione il pubblico, che ha sopravvalutato il testo o gli attori, ma sicuramente non aveva tutte le ragioni la critica. Forse serve più equilibrio. 

Vorrei dire due parole ai giovani che sono in sala, che scrivono per il teatro e cercare di risollevare loro il morale perché non vorrei che passasse il messaggio che è perfettamente inutile scrivere per il teatro, perché tanto non li “filerà” nessuno. Credo che sia molto importante che i giovani scrivano per il teatro persino nell’ipotesi, non auspicabile, in cui i loro lavori, le loro commedie non vengano rappresentate. … C’è una ragione, secondo me, estremamente importante perché i giovani imparino a scrivere per il teatro.  Che cosa vuol dire scrivere per il teatro? Vuol dire inventare storie con personaggi che devono essere fatti vivere, personaggi che sono tra loro in conflitto o che si amano; storie che s’intrecciano, con punti di vista estremamente diversi. Questo è un punto fondamentale: sapersi mettere da tanti punti di vista diversi. Vivere all’interno il personaggio, farlo muovere ed essere di volta in volta lui e il suo avversario, l’amato e l’amante, il traditore e il tradito. E’ ciò che poi faceva Pirandello. … questo secondo me è l’unico vero antidoto per alcuni micidiali nemici dei giovani, che si affacciano alla vita ed hanno davanti tutto un mondo di progetti possibili. I nemici sono: lo scetticismo, il dogmatismo, il fatalismo. E cioè credere che non ci sia nessuna alternativa, che non valga la pena di far nulla; credere che ci sia una sola alternativa per cui le cose devono essere così e qualunque cosa contraria dovrà essere osteggiata e combattuta; infine il fatalismo: era già tutto scritto. Ecco questi sono tre nemici da cui guardarsi come la peste. Invece sapersi mettere in tanti diversi punti di vista, assumere tanti diversi atteggiamenti vuol dire credere che ci sia sempre un’alternativa possibile. E allora scrivete per il teatro, ragazzi, fate rivivere il teatro, visto che il teatro sembra morto e allora forse rivivrà anche la critica. 

 

Le nuove frontiere della drammaturgia

Circolo della Stampa Milano 8 maggio 2006
Ente organizzatore: Pro(getto)scena
Coordinamento di Liliana Feldmann

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Pro(getto)scena ha organizzato l’8 maggio 2006, presso il Salone Napoleonico del Circolo della Stampa di Milano – C.so Venezia 16, la tavola rotonda dal titolo: “Le nuove frontiere della drammaturgia”. La tavola rotonda si è svolta all’interno della manifestazione di premiazione della VI edizione del “Concorso per il Teatro e la Drammaturgia Tragos”.
Sono intervenuti: Aldo Brandirali (Assessore Sport Giovani – Comune di Milano); Maurizio Acerbi (giornalista); Paolo Bosisio (Ordinario di Storia del teatro e spettacolo – Università Statale di Milano);  Aleardo Cagliari (Direttore Teatro della Memoria); Giuseppe Gallizzi (Presidente Circolo della Stampa di Milano); Gastone Geron (giornalista e critico teatrale); Vito Molinari (regista), Viviana Persiani (giornalista); Maria Gabriella Giovannelli (Presidente di Pro(getto)scena e ideatrice del Concorso Tragos); Marisa Valagussa (Dirigente Ufficio Scolastico per la Lombardia);
La tavola rotonda è stata effettuata in occasione delle manifestazioni conclusive della VI edizione del “Concorso per il Teatro e la Drammaturgia Tragos”

Dagli intervenuti:

Io non so se sono la persona più giusta per introdurre questo dibattito sulle nuove frontiere della drammaturgia perché non sono un autore, non sono un critico, non sono uno storico del teatro, non sono un saggista, sono solo un regista. E quindi mi rivolgo ai giovani autori: voi dovete essere molto diffidenti. I registi nella maggior parte dei casi lavorano contro i testi, contro gli autori, qualche volta raramente migliorano il testo, ma più spesso lo peggiorano o lo realizzano in modo difforme dall’intenzione dell’autore, quindi vi chiedo scusa a nome personale e a nome di tutta la categoria. Devo dire che sono poco informato sulla nuova drammaturgia … quando ultimamente sono andato a vedere spettacoli di giovani autori sono rimasto un po’ perplesso e un po’ deluso e comunque sono casi rarissimi perché I nuovi autori non vengono rappresentati. Gli impresari non vogliono rischiare su sconosciuti, perché gli Enti Stabili sono disposti a fare carte false piuttosto che tentare una novità italiana. I discorsi sono sempre i soliti: i costi delle messe in scena sono alti … La sfiducia sui testi di drammaturgia contemporanea nasce, io credo, per colpa del teatro di regia e soprattutto delle avanguardie di un tempo che hanno lavorato molto su mimica, su figura e hanno ucciso un po’ il teatro di parola. E certo è più sicuro mettere in scena testi stranieri di successo, sicuri perché testati in patria. Ma per un testo straniero di successo quanti testi sono stati messi in scena con esito discreto oppure con esito decisamente negativo o disastroso? … Manca da tempo il coraggio di rischiare, la possibilità di conoscere testi nuovi, testi brutti, mediocri, discreti, belli, ottimi, il capolavoro è raro, è imprevisto e imprevedibile e perciò gli autori finiscono per non scrivere o per scrivere sperando in qualche premio in euro, che non prevede la messa in scena che è invece la vera prova per capire la validità di un testo… Il problema è creare un repertorio che ora non esiste. Perciò ritengo molto positiva, da lodare, coraggiosa questa iniziativa di concorso di drammaturgia per giovani che prevede anche un progetto di messa in scena delle opere vincenti. Ai giovani dico: scrivete soprattutto per voi non per gli altri, quello che sentite dentro perché s’impara a scrivere per il teatro solo scrivendo ma dovete avere tanta pazienza. 

… al Teatro della Memoria abbiamo una rassegna dedicata ad un giovane autore contemporaneo, Luigi Lunari, che scrive delle cose molto interessanti e nuove, a volte l’età anagrafica non corrisponde all’età intellettuale, all’età creativa, non c’è un rapporto diretto. … E’ andato in scena “Nel nome del padre”, premiato col “Sipario d’oro” ed era una prima milanese. Martedì ci sarà un’altra prima nazionale di “Tutti gli uomini di Annalisa” che è la continuazione di “Tre sull’altalena” e poi verrà rappresentato il discusso testo: “Il maestro e gli altri”, quello che fece scandalo quando Lunari se ne andò dal Piccolo Teatro perché satireggiava Strehler. Visto ad anni di distanza è forse un atto di amore nei confronti di Strehler oggi, in primo luogo perché non si può che litigare aspramente con le persone che si amano, le persone che ci sono indifferenti non suscitano in noi questo atteggiamento e in secondo luogo perché la figura di Strehler in “Il maestro e gli altri” viene fuori in una maniera che io credo possa rappresentare anche un omaggio. Questo è sull’oggi, quindi vedete che noi come Teatro della Memoria guardiamo più alla drammaturgia contemporanea … Due anni fa abbiamo fatto “Dopo Pirandello” mettendo in scena otto giovani autori; … l’anno scorso abbiamo fatto “Anima mundi” un’altra rassegna dove sono stati rappresentati testi teatrali scritti solamente da donne. … Ci sono tre ordini di problemi che io vedo rispetto alla drammaturgia contemporanea: uno è senza dubbio l’allestimento, chi è che si fa carico di allestire questi testi? O una compagnia stabile crede nel testo e investe una somma di denaro per allestirlo, oppure l’allestimento rischia di essere realizzato in maniera, diciamo amatoriale, cosa che non rende giustizia all’autore. Forse se il testo venisse rappresentato, non dico al massimo delle possibilità, ma a un buon livello professionale, magari verrebbe fuori bene. L’altro problema è tutto sommato la resistenza che io trovo anche del pubblico che vuole un riferimento a qualche cosa che già conosce o ambiremmo di conoscere … nel momento in cui si mette in scena il testo di un giovane autore sconosciuto, questo riferimento alla cultura collettiva manca e dunque questo giovane autore deve essere in qualche modo sostenuto, supportato con un’operazione di presentazione perché i giornali ne parlino.  Quindi questo è il secondo livello di difficoltà. Il terzo livello è che non esiste un vero sostegno da parte delle Istituzioni alla drammaturgia italiana contemporanea. Questo fa sì che degli autori anche anagraficamente non giovani ma che hanno scritto delle cose significative ancora oggi sono lì in fila che aspettano che le loro opere, magari rappresentate in altri Paesi del mondo, vengano conosciute a Milano… Bisogna mettersi in fila. 

… Ci si lamenta, non c’è, non si vede, non c’è più spazio, non ci sono finanziamenti, ma siamo sicuri che la drammaturgia non ci sia più? Io penso che la nuova drammaturgia ci sia, eccome. Ovviamente nascosta nelle pieghe di un mondo che cambia, il mondo è sempre cambiato: noi tutti qua rappresentiamo, chi più, chi meno, una cultura che ha fatto il suo tempo. E’ una cultura che è nata molti decenni fa, che è stata osservata nel corso del suo sviluppo e che oggi risulta un po’ superata e quindi qualche volta inattingibile. Noi ci lamentiamo sempre della mancanza di ciò a cui siamo abituati; questo è il problema e qualche volta non prestiamo sufficiente attenzione a quello che di nuovo viene proposto e che naturalmente viene proposto sotto forme diverse… 

Cosa manca? Mancano i testi teatrali, non si vedono in giro testi teatrali nuovi o se ne vedono pochi, i giovani non ne sentono tanto la mancanza e la ragione è semplicissima: è che i giovani trovano la drammaturgia da un’altra parte, come trovano la comunicazione da un’altra parte…in modo telematico che è il modo che si è affermato in questi anni. Bene, la drammaturgia è nascosta lì dentro, come la nostra comunicazione ed è nascosta nei media, nei mezzi di comunicazione che hanno preso il posto del teatro, senza ammazzarlo. Io dico sempre che il teatro sta benone, si è solo trasformato: ha cambiato pelle, non è più quel mezzo di comunicazione di massa che è stato fino a un secolo e poco più fa, e non è più quel luogo di intrattenimento comune, di divertimento, di piacere che è stato fino ad una cinquantina di anni fa. E’ diventato uno spazio riservato ad una élite che ama quel tipo di esperienza e quindi che preferisce, come diceva Patroni Griffi il pesce fresco alle sardine in scatola. Lo diceva Patroni Griffi che è mancato qualche mese fa e che non era un ragazzino… Siccome ci siamo abituati per tanti anni a mangiare il pesce fresco, quando arrivano le sardine in scatola, cioè la televisione, sentiamo un odore stantio, ci dà un po’ fastidio e rimpiangiamo il pesce fresco. Ma osserviamo con più attenzione e disponibilità le scatole delle sardine e ci troveremo dentro qualcosa. Io faccio un nome che mi sembra vada fatto: il nome di Ricci, che è un drammaturgo di primissimo livello, del livello di Pinter. Pinter che ha preso il Premio Nobel sapete come è vissuto, come ha fatto i soldi, come è diventato famoso? Con le sceneggiature cinematografiche e televisive. Il suo teatro gli ha reso pochissimi soldi e pochissima notorietà anche se già negli anni ’60 abbiamo visto qualche suo spettacolo rimanendo con la bocca aperta. Io la prima volta che ho visto: “Il portiere” di Pinter realizzato da Buazzelli al San Babila, sono rimasto con la bocca spalancata. E’ diventato famoso quando ha scritto sceneggiature per film che hanno visto milioni di persone. Oggi la dimensione della comunicazione è quella lì. Quindi andiamo a pescare i grandi drammaturghi nascosti dove sono e scopriremo che magari dedicheranno qualche ora anche al nostro vecchio, amato teatro che ripeto sta bene… 

Il pregio di un premio come questo è quello di mantenere vivo l’amore per un concetto di scrittura che qui si chiama “scrittura drammaturgica” ma che non si deve pensare solo limitata alla destinazione del teatro. E’ un premio che incita i giovani a scrivere, cioè utilizzare un vecchio sistema espressivo magari secondo formulazioni nuove, anche secondo modi di esprimersi nuovi che non ci devono stupire più di tanto. Il teatro infatti ha dalla sua quella di essere un genere artistico, un tipo d’arte che si esprime attraverso un fascio di codici, non un codice solo. La drammaturgia, la scrittura è uno degli elementi che fanno la comunicazione teatrale. Qualche volta il più importante, altre volte importante come altri, altre volte il meno importante. Quindi il teatro e questo premio lo dimostra, offre il vantaggio di potersi adeguare al mutare dei tempi…  e il vantaggio del premio per il quale siamo riuniti qua oggi è proprio quello di premiare un testo teatrale con una messa in scena, che è il più bel premio che si possa dare a un testo teatrale, cioè la possibilità di vivere perché la drammaturgia non vive sulla carta. La scrittura drammaturgica che sia destinata al palcoscenico, cioè al teatro, che sia destinata al cinema, alla televisione o ad altri mezzi oggi molto diffusi, si realizza solo nel momento in cui si fa carne, passa attraverso la bocca degli attori. 

La presunzione di scrivere per lo spettacolo

Circolo della Stampa – Milano 2 maggio 2005
Ente organizzatore: Pro(getto)scena
Coordinamento di Maria Gabriella Giovannelli

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Con il Patrocino della Presidenza del Comune di Milano, Pro(getto)scena ha organizzato presso il Salone Napoleonico del Circolo della Stampa di Milano – C.so Venezia 16, la Tavola rotonda: “La presunzione di scrivere per lo spettacolo”. La tavola rotonda si è svolta il 2 maggio 2005 all’interno della manifestazione di premiazione della V edizione del “Concorso per il Teatro e la Drammaturgia Tragos”

Sono intervenuti: Pierluigi Amietta (scrittore, docente di Comunicazione presso l’Università di Pisa e Politecnica delle Marche); Giulio Bosetti (attore, regista); Marco Calindri (drammaturgo); Maria Gabriella Giovannelli (Presidente Pro(getto)scena); Carlo Marietti (Vicepresidente dell’Accademia dei Filodrammatici di Milano); Vito Molinari (regista); Danilo Nigro (giornalista); Emilio Russo (Direttore Artistico); Marisa Valagussa (Dirigente Ufficio Scolastico per la Lombardia). 

Dagli intervenuti:

L’argomento di questa tavola rotonda può sembrare un po’ provocatorio, certamente l’incontro di oggi vuole essere un momento di inizio di analisi del tema della scrittura per lo spettacolo e dovrà dare adito ad incontri successivi, aprire la strada a nuovi seminari. 

E’ un tema ampio in quanto affronta realtà differenti tra loro: il teatro, il cinema, la televisione con il proliferare di quelle che nel tempo sono state le soap opera e le telenovelas non più importate, ma “prodotte in casa” e di esperimenti come quello ad esempio di “Casa Vianello” i cui testi sono scritti da Vianello stesso.

Ci si muove in ambiti molto differenti tra di loro e assistiamo anche alla nascita di corsi di scrittura creativa che dovrebbero fornire elementi inerenti alle varie tecniche di scrittura. Per scrivere per il teatro bisogna certamente avere una padronanza di tecnica perché attraverso il dialogo si porta avanti l’azione, si veicolano emozioni, sentimenti.  Io credo che scrivere per il teatro sia un atto d’amore perché si parla dell’umanità, si racchiude, permettetemi questo termine forse non propriamente esatto, ma che però dà l’idea, l’umanità in battute. Dietro queste battute c’è un’umanità che vive, ci sono le sfaccettature dell’uomo nella sua varietà di sentimenti, di emozioni, di relazioni che traspare e viene fuori. Questo tipo di scrittura dà all’autore una soddisfazione che si concretizza nell’atto del creare. Differente ad esempio è scrivere per la realizzazione di una telenovela, dove la scrittura viene fatta a più mani e dove l’obiettivo primario è quello di creare dei testi abbastanza “immobili”. Cosa voglio dire con questo? Che se il fruitore, “perde” qualche puntate dell’opera, nel momento in cui riprende a seguirne gli avvenimenti si ritrova perfettamente nel contesto della storia: la storia procede molto lentamente. Questo comporta un certo tipo di scrittura che può anche non essere gratificante per chi lo fa. Scrivere per lo spettacolo è un mestiere che comunque si reinventa e potremmo vedere insieme quelli che possono essere i limiti, i non limiti di tale scrittura, quali direzioni può prendere. E’ un mestiere che s’impara anche leggendo i testi, dai Greci fino ad arrivare ai giorni nostri, passando attraverso tutti i grandi che è inutile che stia a citare; è un mestiere, mi ripeto, che ha bisogno della conoscenza di certe tecniche. Quindi spesso ci troviamo di fronte ad autori che devono crescere, che devono continuare nella strada di ricerca, però attenzione non facciamo l’errore di dimenticarci di loro perché comunque i giovani che hanno partecipato al “Concorso per il Teatro e la Drammaturgia Tragos” si sono messi in gioco, affrontando nei loro testi varie temi, dimostrando di avere molto da dire. 

… Mi pare di capire che la domanda è: “E’ più giusto scrivere per conto proprio o scrivere tenendo presente le esigenze tecniche e quindi avendo un rapporto diretto con attori, con impresari?” Sono due modi entrambi validi. Il discorso secondo me è che se uno sente dentro di sé l’esigenza di scrivere, per prima cosa dovrebbe non scrivere, fermarsi davanti alla pagina o davanti al computer e pensarci trentatre volte. Quando ci ha pensato, se proprio gli “scoppia dentro” di scrivere, allora scriva perché può essere che ci sia un Pirandello e noi non lo sappiamo. Certo così facendo sarà estremamente libero di dire, magari delle cose sbagliate, ma di dire quello che vuole e quello che sente. L’altro è un sistema che è stato in auge per parecchio tempo, quello del drammaturgo di compagnia … Goldoni scriveva per gli attori di una certa compagnia, quindi conosceva bene i ruoli e i personaggi, scriveva in un certo modo limitato da alcune cose tecniche con uno svantaggio e un vantaggio che si riporta ancora oggi se si dovesse rifare un’esperienza di questo genere. Ci sono molti autori che collaborano con compagnie facendo più che altro un teatro di ricerca, un teatro di immagine, un teatro di figura più che un teatro di parola, però il vantaggio è che in qualche modo i loro testi verranno rappresentati, magari deformati, cambiati, modificati dal regista e dagli autori stessi; spesso sono spettacoli in progress. Lo svantaggio è che gli autori sono estremamente limitati dalle persone e dalle cose con le quali si debbono confrontare. Direi sono due modi diversi, tutti e due validi. 

… E’ un tempo difficile per il teatro proprio perché siamo assaliti da questo mondo televisivo che sta livellando in basso la qualità per cui io non darei un’indicazione a dei giovani di rivolgersi verso quel tipo di spettacolo, perché non aiuta; quello che una volta noi chiamavamo “teatro digestivo”, oggi è “spettacolo digestivo”, intendo quello che avviene in televisione. … Credo che chiunque faccia questo mestiere debba pensare con dei grandi ideali. … E’ un omento difficile oggi, un autore ha poche possibilità di nascere, ma non per colpa del teatro, ma per colpa della società in cui viviamo e per colpa dell’assalto dei mass media che non aiutano assolutamente il teatro e non aiutano neanche lo scrittore perché si tende a creare l’ideale in una bassa qualità. … E’ certo che precedentemente a questa nostra epoca legata ai mass media, l’autore di teatro era un autore che lavorava per vivere, per guadagnare … la professione di drammaturgo o di autore è legata al bisogno del guadagno. Goldoni firmò un contratto per sedici commedie in un anno perché aveva bisogno di vivere, aveva bisogno di soddisfare i suoi bisogni anche con questi contratti capestro, però riusciva a scrivere perché era un genio. E’ assolutamente attraverso questa strada che può nascere l’autore, così come l’autore dovrebbe essere molto vicino al teatro, vicinissimo. Goldoni, Shakespeare, Pirandello, Cechov sono stati tutti drammaturghi che erano quasi registi dei loro spettacoli. Non si può fare il teatro e scrivere un testo seduto ad una scrivania lontano da tutte le realtà…

… Noi ci troviamo in grande difficoltà a mettere in scena un testo nuovo; prima di tutto perché i testi nuovi raramente sono di qualità … noi che siamo abituasti a credere in certi valori, noi che siamo abituati a recitare Pirandello o Cechov o Shakespeare, ci troviamo in difficoltà a recitare poi cose che non hanno né capo, né coda … In più il pubblico quando sente che si rappresenta un autore italiano, non va a teatro: i teatri sono vuoti, per cui dobbiamo pensare anche alla presenza del pubblico. Il teatro non esiste se non c’è il pubblico. I tre elementi del teatro sono: attore, autore, pubblico. Dobbiamo solo sperare in questo momento in un miracolo, perché la società in cui viviamo non ci dà una forma di ottimismo… allora forse noi dovremmo sforzarci di fare del buon teatro per migliorare la società, ma è una cosa molto velleitaria perché è come un bambino che vuole svuotare il mare con un mestolo. … Io sono felice che ci siano giovani che scrivono e sono lieto di partecipare a questa riunione in cui ci sono anche delle premiazioni, ma bisogna che non diventi puramente un fatto di piacere personale o di ricerca di un premio, ma la possibilità di stare vicini il più possibile al teatro e di lottare contro questo mondo che fa di tutto perché il teatro non sia all’altezza che merita. …

Mi viene chiesto chi è l’autore vero di un testo: L’autore del testo è l’autore. Noi non siamo altro che interpreti: cerchiamo di capire; specie se siamo di fronte a dei grandi autori, dobbiamo essere guidati, presi per mano dall’autore stesso. La nostra difficoltà e il nostro intendimento è quello di cercare dentro le pieghe del testo tutti i valori che sono nascosti e che spesso non appaiono a prima vista. Certo la nostra sensibilità di uomini del 2000 è diversa da quella di 2000 anni fa, però se uno in questo momento mette in scena Sofocle, cerca da Sofocle di scoprire quelli che sono i valori, i magici misteri e li mette sul palcoscenico legandosi alla sua sensibilità di uomo del 2000, ma è certo che prima di tutto c’è l’autore. C’è stato un periodo della storia del teatro, prima della guerra, in cui c’erano attori che interpretavano testi di poca qualità e che li tagliavano, li massacravano, facevano tutto in funzione di se stessi; poi è arrivato il momento della chiarificazione con Silvio D’Amico, con i primi grandi teatri guidati da Strehler, da Paolo Grassi, da De Bosio. Si è capito che prima di tutto, alla base di tutto c’è l’autore. Non si possono fare le stravaganze e le violenze sui testi in maniera non regolare … e anche per quanto riguarda i nuovi autori, se nascono, noi dobbiamo prima di tutto basarci su di loro, appoggiarci a loro; non possiamo noi sostituirci all’autore. Possiamo incarnali, dare calore, dare forza, dare personalità ma è l’autore che prima di tutto conta. Qualsiasi rivoluzione in teatro non avviene attraverso i registi o attraverso gli attori, avviene attraverso l’autore. La più grande rivoluzione degli ultimi tempi è stata quella di Pirandello quando ha scritto: “I sei personaggi”. …  Come il personaggio di Becket aspettiamo tutti Godot, se arriverà Godot forse cambierà tutto, forse ci aiuterà tutti, aiuterà noi ed aiuterà i giovani autori. In questo momento siamo in un momento di difficoltà per cui io personalmente non so come potrei aiutare un giovane per fare una cosa che non sta in piedi. 

… Abbiamo in sala una sorta di riserva indiana perché ci sono ragazzi che per scelte loro hanno deciso di scrivere per il teatro che, come sappiamo, è una forma assolutamente complessa. … La realtà vera è anche che a molti, non tra quelli premiati, credo manchi la frequentazione diretta del teatro, cioè il vedere tante, tante, tante commedie di generi diversi in modo tale che possano superare quella che è soltanto la loro voglia, il loro istinto, il loro desiderio di comunicare qualche cosa. … Una domanda che mi farei, incominciando a riempire una pagina di un computer o un foglio è: ma questo argomento interesserà veramente a qualcuno? Perché tante volte si scrive per se stessi e non si scrive pensando poi che questo testo che verrà filtrato attraverso la capacità dell’attore e del regista, dovrà arrivare ad un pubblico. Allora possiamo anche contare su attori eccezionali e su registi abilissimi, ma poi alla fine quello che viene detto, viene detto. Allora bisogna cercare di rendersi conto se l’argomento che affrontiamo è un argomento che non solo interessa noi stessi, ma interesserà o potrà interessare un domani il pubblico. … Qualcuno prima si chiedeva se vale la pena scrivere per il teatro o meno, io ricordo un piccolo aneddoto: quando c’era ancora a Milano il Sant’Erasmo, uno dei pochi teatri al mondo circolari, mi è capitato di assistere alle prove di una commedia di Montanelli: “I sogni muoiono all’alba” che Montanelli scrisse dopo i fatti dell’Ungheria del ’56 e ricordo di aver colto una conversazione tra Montanelli e mio padre. Montanelli diceva che scrivere per il teatro è una cosa di una fatica terribile, oltretutto non si sa se ne valga la pena o no. Diceva: “scrivo un testo e ci metto un sacco di mesi, guadagno poco quando invece in venti giorni scrivo un libro che va a ruba, guadagno un sacco di soldi. Ma chi me lo fa fare di scrivere per il teatro?”  In realtà poi ha scritto parecchi testi per il teatro. Però voglio dire: uno come Montanelli che sapeva scrivere e anche quando ha scritto per il teatro ha scritto con il giusto brio e con la giusta intelligenza, era cosciente che dedicarsi a questa forma di scrittura è faticoso.  Ma questo non deve deprimere i giovani. 

Io invece credo che fare teatro sia una cosa semplicissima, il difficile in questo momento è dato dal fatto che i teatri non vogliono rischiare nulla. Credo che se anche nascesse oggi un Pirandello, noi non ce ne accorgeremmo perché nessun teatro, nessuna compagnia pubblica o privata oggi ha il coraggio di pensare di mettere in scena un testo scritto da un autore contemporaneo. Quindi credo che il giudizio vada dato al teatro in tutti i sensi e anche alla società. Sono d’accordo quando si dice:” si potrà fare una società migliore se si farà un teatro migliore”.… Il teatro è il luogo del presente, è il luogo del contemporaneo, vanno raccontate storie contemporanee. Scrivere oggi è un problema a tutti i livelli perché oggi si scrive poco e si scrive male, si scrive male sui giornali, si scrive male nelle dichiarazioni dei politici, si scrive male in tutti i posti e si scrive male in televisione. Non è che non dobbiamo scrivere per la televisione perché la televisione è brutta, bisogna scrivere per la televisione per farla più bella. Bisogna scrivere per il teatro per fare un teatro migliore. Io faccio l’appello di provare a mettere in scena delle cose … Questo premio che con tanta passione viene dedicato a giovani autori è benemerito, anche se non viene fuori un Pirandello pazienza, magari vengono fuori tanti autori che vanno pienamente in scena. Io dirigo un teatro piccolino ma facciamo solo drammaturgia contemporanea, bella o brutta: ci interessa raccontare storie al presente.  

Io porto il punto di vista della scuola che in qualche modo non può che intrecciarsi anche con il punto di vista personale, perché troppo difficile sarebbe evidentemente scindere le soggettività diverse. Riflettevo mentre ascoltavo il dibattito. Giulio Bosetti parlava di talenti, anche Maria Gabriella Giovannelli parlava di talenti, si poneva il problema: lo scrittore è scrittore o non è. Giulio Bosetti diceva: “in fondo Leonardo è andato a Bottega da Verrocchio, ma se non avesse avuto talenti non sarebbe diventato Leonardo”. Ecco sicuramente la scuola ha proprio questo compito: quello di sviluppare i talenti, se mai il rischio è proprio quello che talenti vengano sprecati, che si indeboliscano, che non vengano individuati nelle forme e nei modi giusti, che vengano offuscati da modalità, diciamo, in qualche modo uniformanti. …  Quindi ecco la necessità di cogliere nel momento giusto della crescita, dello sviluppo, della faticosa costruzione di sé dei giovani quelle attitudini peculiari che, se non valorizzate grazie alla presenza di grandi maestri, possono andare perse. E’ una perdita individuale, ma anche collettiva. Riprendo il concetto del maestro perché è l’altro aspetto importante: c’è bisogno di maestri, in questo senso appunto, accanto ai docenti che ovviamente sono in prima persona maestri, accompagnano i ragazzi su questo loro percorso di crescita e di formazione, abbiamo bisogno di figure che possano essere apprezzate, che portino con sé una storia, che possa essere di modello generativo per i giovani ed ecco perché è importante l’ingresso nelle scuole di realtà come quella che oggi è qui, perché porta una testimonianza importante ed i giovani hanno bisogno di modelli forti. C’è una grande contiguità tra il modello adulto e il mondo dei giovani. … La scelta d’impegnarsi nel campo delle arti, è sicuramente una scelta a rischio all’interno di questa società, ma è una scelta che definisce una gerarchia di valori, che sono quei valori che se trasmessi, perché vissuti in prima persona, possono irrobustire e innervare a loro volta le scelte dei giovani. Noi abbiamo bisogno di un Paese colto. Un Paese colto è un paese che dà lo spazio alle arti, un Paese non colto è un Paese a rischio. Un individuo non colto è un individuo a rischio. Ecco allora che l’impegno deve essere massimo in questa direzione. … in questo senso mi sembra che valga la pena di continuare ad impegnarsi e di chiedere ai rappresentanti migliori della cultura, delle arti di questa città di essere maestri per i nostri giovani e di questo noi veramente possiamo essere davvero grati. 

Non entro nel merito delle questioni teatrali e delle fini tecniche che hanno rappresentanti da questo pulpito di ben altra competenza, quindi non voglio rischiare di insegnare ai gatti a “rampegare”, mi limito a restare nell’ambito delle mie competenze professionali: io mi occupo di comunicazione, mi occupo di formazione, mi occupo di psicolinguistica, se vogliamo usare un termine che adesso è di moda. Non so se tutto quello che è stato detto finora ha avuto l’effetto di incoraggiare i giovani che si sono cimentati in questo “certamen” o di scoraggiarli. Ecco non vorrei che fosse buona la seconda perché sarebbe sbagliato a mio modo di vedere. … Io non credo che sia importante quello che i giovani scrivono, cioè i contenuti specifici, anche perché si sa che le trame teatrali, quindi i rapporti tra i vari personaggi, sono una cinquantina, forse arrivano a sessanta, non di più: sono sempre le stesse. Non ha alcuna importanza, secondo me, neanche come scrivono, visto che stanno cominciando, poi diventerà molto importante anche come scrivono.  Se sono imperfetti, si perfezioneranno. L’importante è, diceva qualcuno che la sapeva lunga, “rem tene verba sequentur” cioè il modo di dire correttamente lo imparerai, ma devi avere della sostanza dentro e provare ad esprimerla. … Giustamente è stato ricordato che non si potrebbe pretendere da giovani dai quindici ai diciassette, vent’anni di essere equipaggiati come Dostoevskij. Io credo che sia importante invece non tanto ciò che scrivono o come lo scrivono, ma ciò che comunicano. A me sembra che di comunicazioni questi giovani ce ne mandino. A me pare che comunichino certo anche i disagi della società di cui giustamente parlava Bosetti e come non essere d’accordo con lui; ma proverei un po’ a rischiarare quest’atmosfera perché mi pare di sentire nei lavori di questi giovani molta necessità di un cambiamento reale, autentico, non di facciata. Mi pare di sentire molta voglia di una lotta frontale con certe ipocrisie sociali, che vanno avanti per secoli e che forse oggi i giovani non sono più disposti a tollerare. Mi sembra però di sentire anche e soprattutto, mi ripeto, tautologicamente un grande bisogno di comunicare, il che vuol dire in ultima analisi: mettere in comune e mettere in comune qualche cosa d’importante che si ha dentro, farne partecipi gli altri: in definitiva un grande bisogno d’amore. Gabriella Giovannelli diceva che il teatro è sempre un atto d’amore in un certo senso: io sono d’accordo. Un bisogno di una grande spiritualità, un bisogno di dare e ricevere un qualche cosa e questo è un tentativo che credo sarebbe disastroso da parte nostra non dico frustrare, ma in qualche modo scoraggiare. … Mi rifaccio alla provocazione di questa tavola rotonda: “la presunzione di scrivere per lo spettacolo”. Certo attraverso le storie di questi giovani si vedono in filigrana, dei modelli, ma chi non ha bisogno di modelli? Quale sciocco non ammette di non avere avuto maestri? … Quindi potremmo dire con una metafora automobilistica che i giovani cominciano guardando nello specchietto retrovisore ma non certo con la retromarcia: secondo me guidano sempre in avanti davanti a noi per definizione generazionale. Questo cosa vuol dire? Vuol dire che forse anche noi e qui aggiungerei, parafrasando il titolo, dai giovani possiamo immaginare che ci sia la presunzione di scrivere per lo spettacolo, però ci vorrebbe un po’ di umiltà da parte degli adulti. 

Volevo riprendere la riflessione ottimistica del Prof. Amietta perché mi occupo di una scuola e se in una scuola manca l’ottimismo evidentemente mancano le premesse perché possa operare in maniera coerente con la sua missione. Ottimismo che non deve essere disgiunto dall’obiettività e da una saggia valutazione delle difficoltà, delle necessità e dei tempi che corrono. Spesso una scuola di teatro e soprattutto una scuola attorale di teatro, viene vista come un’iniziativa portatrice di grosse responsabilità negative nel senso di essere interpretata come una fabbrica di illusioni, nella migliore delle ipotesi, o forse di disadattati nella peggiore delle ipotesi. Ma io credo che questo sia significativo dei tempi che viviamo ma mi sembra di poter dire che sono quasi duecentosette anni che si fanno queste riflessioni. Duecentosette anni sono passati, altri ne stanno passando, le scuole sono vive, il teatro è vivo e quindi l’ottimismo probabilmente ha un suo fondamento. Ecco io credo che incoraggiare a scrivere sia fondamentale. … E’ fondamentale che l’autore non sia un ectoplasma vissuto dagli attori e dal resto del mondo teatrale come un soggetto di cui non si conosce l’indirizzo, chi frequenta e oggetto o soggetto di chissà quali percorsi intellettuali che portano a concretizzare una sua produzione. Sarebbe molto bello per una scuola condividere il lavoro con degli autori o con degli aspiranti autori, esattamente come degli aspiranti sono gli attori o i futuri attori che la animano. Certo l’approccio è difficile. … Ci sono scuole che vanno alla ricerca di studenti, altre che li devono, a malincuore, “ricacciare”, assumendosi delle responsabilità non indifferenti, quelle  di negare forse un’opportunità a chi ha le doti o la capacità per sfruttare al meglio questa esperienza formativa. Non dimentichiamo che gli impegni che vengono richiesti sono gravosi, diventa sempre più difficile frequentare una scuola di teatro parallelamente ad un corso normale di studi o ad un’attività lavorativa. Una volta le scuole di teatro erano organizzate con corsi serali che erano compatibili con altre attività; oggi è sempre più difficile. Oggi si richiede uno sforzo non indifferente, in tempi brevi, quindi c’è anche la responsabilità di non coinvolgere dei giovani in scelte sbagliate. … Viviamo in una società in cui la passione per il proprio mestiere, per la propria attività fa un po’ fatica a trovare spazio. Spesso prevale il ragionamento più opportunistico di fare qualcosa che poi dia soddisfazioni economiche o professionali o possa soddisfare ambizioni. Ecco io credo che nel teatro, al di là del successo, si possa rincorrere e trovare anche la soddisfazione di creare un qualcosa. Questo può valere per l’autore, può valere per l’attore e forse è una delle poche attività umane in cui il riconoscimento da parte di pubblico costituisce una soddisfazione immensa ed impagabile. …

I giovani e la drammaturgia: quale futuro?

Circolo della Stampa Milano – 21 febbraio 2001
Ente organizzatore: Voci alla Ribalta/Pro(getto)scena
Coordinamento di Maria Gabriella Giovannelli

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Presso il Salone Napoleonico del Circolo della Stampa di Milano – C.so Venezia 16, il 21 febbraio 2001 si è svolta la tavola rotonda dal titolo: “I giovani e la drammaturgia: quale futuro?”
Sono intervenuti Marco Calindri (regista); Gilberto Calindri (Operatore nel Settore dello Spettacolo); Liliana Feldmann (Cofondatrice di Voci alla Ribalta, regista); Gastone Geron (Critico teatrale); Maria Gabriella Giovannelli (Presidente di Voci alla Ribalta/Pro(getto)scena); Giovanni Marra (Presidente del Consiglio Comunale di Milano); Lamberto Puggelli (regista). 
La tavola rotonda è stata effettuata in occasione delle manifestazioni conclusive della I edizione del “Concorso per il Teatro e la Drammaturgia Tragos” in ricordo di Ernesto Calindri, che ha avuto avvio nel 2001. Ospite d’eccezione: Giulia Lazzarini.
Il Concorso è nato con l’intento primario di portare i giovani e il mondo della scuola ad avvicinarsi al teatro anche attraverso la scrittura drammaturgica, voleva anche attuare un percorso formativo che permettesse di far comprendere ai ragazzi come un’idea, una volta diventata un testo drammaturgico, potesse vivere su un palcoscenico. A tal fine l’aspetto formativo poneva l’attenzione non solo sugli gli aspetti della recitazione, ma anche su quelli più propriamente tecnici riguardanti l’uso delle luci, la realizzazione delle scenografie e dei costumi. Il Concorso prevedeva la messa in scena dei testi vincitori con gli allievi della Scuola di recitazione diretta da Maria Gabriella Giovannelli.

Dagli intervenuti:

Credo che lo stimolo di scrivere testi di drammaturgia all’interno delle scuole, magari venendo aiutati da chi ha esperienza, da chi può darci degli esempi importanti, sia il modo più concreto perché la cultura diventi pratica quotidiana per ciascuno di noi. … Credo che questa iniziativa sia assolutamente nel senso e nell’indirizzo che noi vogliamo dare di stimolare la partecipazione, la riflessione e la maturazione e naturalmente anche la nascita di nuovi talenti. E’ importantissimo: senza questo lavoro di fatto tutto diventa sterile, perché ognuno di noi diventa semplicemente uno spettatore, non più un protagonista…

 … Nella società d’oggi che si chiama società-spettacolo, lo spettacolo per eccellenza, il teatro, è una cosa strana, desueta, fuori moda… Il mio non vuol essere un messaggio ai giovani tragicamente disperato, voglio semplicemente dire che per avvicinarsi in qualche modo a fare o a fruire semplicemente di questa cosa meravigliosa e insopprimibile che è il teatro, occorre non soltanto buona volontà, ma eroismo; non soltanto qualche cosa che ci spinga dentro di noi a raccontare qualche cosa di sé, a porci in relazione con gli altri, ma qualcosa che sentiamo come un imperativo etico. Occorre la consapevolezza di accingersi a fare qualche cosa di impossibile… Quando il teatro torna ad essere importante? In quei momenti storici in cui improvvisamente è la società che lo richiede. Quando certe società si aprono con un fervore di fermenti di vitalità di ogni genere, allora all’interno nascono anche capolavori teatrali. Così successe nella Londra del ‘600, così successe nell’Atene del V secolo avanti Cristo, così successe ad Amburgo o a Venezia nel ‘700. Accade nei luoghi dove qualche cosa si muove. Magicamente. In attesa di questo che cosa dobbiamo fare?  Lavorare… avere la consapevolezza che ci si sta accingendo a fare un esperimento che è importante in sé e quanto più i giovani lo sentono come necessario e insopprimibile, tanto più potrà essere fruttuoso…. Il teatro come forma d’arte è indispensabile e insopprimibile. Socrate diceva che l’uomo prende consapevolezza di sé quando si rappresenta. Quindi bisogna scrivere per il teatro e fare teatro. … Come diceva Brecht, il teatro concorre all’arte più grande di tutti: l’arte di vivere.  

… L’educazione anglosassone per il teatro è qualche cosa che sbalordisce noi latini, forse perché noi il teatro lo facciamo già nella vita di tutti i giorni, gesticolando, muovendoci. Il teatro vivrà sempre perché è l’unico mezzo che, senza bisogno di una mediazione qualsiasi, può parlare all’uomo; quando mi dicono che il teatro è in crisi, rispondo: “Per fortuna!” Il teatro fiorisce o sotto le dittature o durante le guerre: sotto le dittature o durante le guerre il bisogno di trovarsi, di discutere, di partecipare è vivissimo. Nella Russia sovietica il teatro trionfava. Nella libera Italia di oggi ci sono tante altre cose per cui il teatro non trionfa. Ma il teatro vivrà sempre, vivrà in forme diverse perché già, ad esempio, qui a Milano non possiamo parlare di un solo “teatro”; voglio dire ci sono almeno cinque pubblici che non si riconoscono gli uni con gli altri. La gente che va nei teatri dentro i Navigli, non la si ritrova al Pier Lombardo o al Piccolo e non si troverà questo pubblico nei teatri così detti “alternativi”: al Teatro Libero, all’Off …  Non la si troverà nemmeno nei teatri, diciamo così, “televisivi”; io li chiamo così nel senso che i comici di nuova generazione vanno al Cristallo, al Ciack. Poi c’è il pubblico del musical, altro pubblico che tutt’al più, per quanto riguarda la prosa, si avvicina ai Legnanesi come massimo traguardo, con tutto rispetto per i “Legnanesi”. Il teatro, quindi, è necessario in forme diverse… Per l’unità d’Italia, a mio avviso, il teatro ha fatto molto di più di Mazzini, di Garibaldi, di Cavour, un esempio: la “Compagnia reale sarda” che valeva il Piccolo di oggi.  Questa penetrazione di unità nazionale, percepita attraverso una difformità linguistica, ma un’unità ideale, valeva molto di più dei comizi o delle riunioni dei carbonari… Oggi è difficile che un drammaturgo possa mettersi al tavolino e dire: scrivo una commedia, scrivo un dramma; se lo fa deve riflettere sulla difficoltà di portare questo copione a qualcuno. 

Il fatto di essere madrina del “Premio Tragos”, mi ha portato a leggere le composizioni arrivate al Concorso. Devo dire che sono rimasta molto scossa perché ho trovato che nella maggior parte dei testi c’era un’enorme insicurezza nel futuro. Comunque, il fatto che gli autori siano consapevoli di questa mancanza di sicurezza, mi fa pensare che siano più maturi di quello che noi supponiamo. Non è affatto vero che vengono a teatro solo persone di una certa età. Girando per tutta l’Italia con Ernesto, ho trovato una moltitudine di giovani che seguivano gli spettacoli e, specialmente per uno degli ultimi lavori che abbiamo fatto, del quale gli autori sono stati i figli di Ernesto, ci è stato chiesto il copione: essendo la commedia nuova, non era assolutamente conosciuta…. Mi fa piacere soprattutto che i giovani si avvicinino al teatro perché per me il teatro non è altro che una scuola di vita e di conseguenza mi auguro che questa passione continui in loro sia scrivendo testi nuovi, sia frequentando i teatri. 

… Anch’io ho avuto un pochino l’impressione, leggendo tutti i testi, di guardare un po’ dal buco della serratura quella che è la situazione giovanile, oggi: sono stati trattati temi che io, tornando alla loro età, non mi sarei mai sognato di affrontare. Forse li rimuginavo dentro di me, ma certamente non sarei mai stato in grado di esprimerli con la chiarezza, con la sofferenza, con la forza, con le quali sono stati espressi… Volevo invece rifarmi a quello che riguarda il futuro di un testo drammaturgico: quando uno è riuscito a “partorire” una sorta di idea e a metterla per iscritto, cosa succede dopo?  La nostra personale esperienza, mia e di mio fratello, è stata questa: noi abbiamo scritto un testo su un’idea che poteva avere la sua valenza; non abbiamo sconvolto la drammaturgia italiana, ma possiamo dire che poteva avere la sua dignità. Certamente se non fossimo stati figli di Ernesto Calindri, il copione sarebbe rimasto in qualche cassetto…. Vivendo sulla nostra pelle l’esperienza di cosa significhi scrivere, ci siamo resi conto che è una sofferenza entusiasmante, bellissima, formativa, appassionante… Ricordo che mi venivano in mente le battute mentre ero in macchina, allora accostavo e prendevo appunti; avevo sempre con me una penna, un pezzo di carta.… Quando abbiamo scritto la primissima stesura del testo, erano credo venti pagine, con grande entusiasmo l’abbiamo fatta leggere a papà e lui ha detto: “l’idea è buona, ma dov’è il testo? Studiateci”. Allora siamo tornati ad approfondire, allargare …  Siamo arrivati a un centinaio di pagine tanto ci avevamo lavorato sopra. A papà il testo è piaciuto, ne ha parlato con il suo impresario e lì abbiamo capito il torto di essere italiani, per di più viventi e di conseguenza di non essere di nessuno stimolo per un impresario teatrale se non per il fatto di chiamarci come nostro padre. Il che da una parte è stato vissuto maluccio, dall’altra ci ha fatto comprendere il “sistema teatro”, oggi. Che cosa significa? Significa che appunto se non ti chiami Goldoni, se non ti chiami Shakespeare, se non ti chiami Pirandello … scrivi sì, ma non interessi. … Allora io mi domando: dopo cosa succede? Ecco questo è il grosso problema: lo scontro con il sistema teatro, oggi. Questa è la preoccupazione che nasce, preoccupazione che non deve tuttavia scoraggiare chi ha voglia di scrivere, perché se uno scrittore ne ha voglia, vuol dire che dentro di lui ha qualche cosa di importante da dire e “buttarla fuori” è fondamentale.

… Di questo Concorso, che ha un anno di vita, mi è piaciuto il fatto che il vero premio è la messa in scena del testo. A mio avviso questa è una grande opportunità per chi ha scritto perché effettivamente vede il suo bambino che si muove in qualche modo; che esce dalle pagine e questo perché c’è qualcuno che lo fa rappresentare. E’ anche un’opportunità per gli addetti ai lavori e per il pubblico più in generale di toccare con mano quello che dei giovani sono riusciti a produrre: le loro idee, le loro paure, le loro angosce che poi, in parte, sono anche quelle che abbiamo noi più in età. … E’ vero che questi testi sono testimonianza di una crisi, di un’angoscia, ma credo che in fondo il centro motore di ogni testo sia una crisi in qualche modo. Qualche testo è apparso più “disperato” di altri, qualche testo è sembrato di una crudeltà inconsueta però altri si aprono alla speranza. C’è una parte dei giovani che sente prepotente il bisogno di dire qualcosa … la società, per come è organizzata oggi, da un lato sta suscitando una reazione che è anche paura, ansia, incertezza del futuro, ma dall’altro sta suscitando stimoli per capire cosa si può fare per affrontarla.